MESSINA-PATERNO' LE PAGELLE DI TBK
Lagomarsini (6) – Con la rete inviolata e l’attenzione sempre a livelli rassicuranti, ben protetto da un reparto che assomiglia un po’ meno ad un formaggio svizzero e un po’ più ad una difesa, porta a casa la pagnotta azima senza dover ricorrere ad effetti speciali. Nel secondo tempo è reattivo nel non farsi uccellare da un avversario che calcia da distanza indecente.
Caldore (5,5) - Dalle sue parti ne succedono sempre di tutti i colori e sia noi che lui ne faremmo volentieri a meno. Lievi segnali di ripresa in fase di proposizione in avanti, piano piano, poco poco.
Di Stefano (6) – Osa spingere sulla sua fascia concedendo qualcosa in copertura. Volenteroso e con quel grammo di coraggio e personalità che potrebbe consentirgli di avere altre chances in futuro, imbecca anche Croce con uno dei migliori cross di giornata.
Ignoffo (6,5) – Se già l’anno scorso era stata una carognata affidare all’ottimo Coppola l’ingrato compito di avviare la manovra e pescare direttamente le punte con lanci millimetrici da 35 metri, speriamo che almeno quest’anno l’incombenza non tocchi addirittura ad uno che di mestiere gioca centrale di difesa. Nel suo habitat naturale padroneggia una partita ruvida con una sola sbavatura e i compagni di reparto lo cercano con insistenza al minimo accenno di pressing nemico. Ma dal centrocampo nessuno si abbassa ad andargli incontro, anche solo per chiedergli come sta e se ha bisogno di qualcosa.
Chiavaro (6) – Un paio di interventi d’autorità evitano che il pomeriggio di passione si trasformi in una passata di pomodoro acido. Anche lui costretto talvolta al lancio lungo in attesa che la squadra riesca ad oliare i famosi meccanismi sulla cui esistenza in tanti cominciano a nutrire seri dubbi, incappa solo in qualche errore senza conseguenze tragiche.
Maiorano (6) Vaga per il campo come un’anima in pena sullo Stige diretta verso la dannazione di uno zero a zero eterno. Un lavoro da cani senza neanche il piacere dei croccantini alla fine. Non fa mancare il suo consueto apporto nella fase d’attacco prima di calare, vistosamente, alla distanza.
Bucolo (5,5) - Giocare a mosca cieca con i compagni che giocano per di più a nascondino gli fa venire l’ulcera. Sulla sua testa i lanci lunghi sono più degli aerei su Malpensa nell’ora di punta e per giunta è costretto a reinventarsi cane da caccia per un avversario qualsiasi il cui nome non ha importanza. Catalano in preda ai sensi di colpa lo tira fuori dal campo in anticipo per evitare che gli saltino i nervi per lo stress di una partita così improvvisata da non avere modo di venirne a capo. Va bene, è uno sporco lavoro, ma a tutto c’è un limite.
Cicatiello (5,5) – Se manca l’ossigeno alla manovra e le idee estemporanee la fanno da padrone, i più giovani pagano un dazio salato ed inevitabile. In un centrocampo deserto di risorse amiche, gli avversari gli passano vicino con la loro sobria manovra a tinta unita. Chi siete? Sì, ma quanti siete? Un fiorino.
Croce (5) – Il Paternò schiera al centro della difesa un armadio a muro e una parete attrezzata. Per lui un triste pomeriggio di mani in faccia, ginocchiate nella schiena, paroline dolci sussurrate nelle orecchie senza che l’arbitro reggino si accorga di nulla e soprattutto senza il minimo costrutto. Sacrifica al Dio della sponda a tutti i costi un paio di occasioni dove era lecito attendersi che il pallone fosse scagliato verso la porta avversaria, senza cerimoniali superflui. Al suo attivo due delle pochissime palle gol del Messina, con la traversa che gli dice di no e la guardalinee che lo ferma mentre sta per sbagliare di nuovo. Ha conosciuto giornate migliori.
Leon (5,5) – Due o tre impressionanti arzigogoli in accelerazione che avrebbero meritato miglior sorte e compagni più presenti a se stessi. Ma è troppo poco e a causa della desolante manovra del secondo tempo dà l’idea di una micidiale mitragliatrice indegnamente caricata a gommini. Che spreco. Affonda con tutte le ciabatte in un pomeriggio dove la cifra tattica della squadra pareggia lo zero del tabellino marcatori.
Corona (5) – In serie D, passare da idolo trascinatore a sequoia secolare è un attimo, se la squadra è slegata e ognuno si fa i fatti suoi. E l’umore, di fronte alle palle giocabili che non ci sono lo avvicina, complice anche il look, ad un salice piangente. Insieme con i compagni di reparto si attarda per ore in estenuanti preliminari, quando anche i tifosi più romantici vorrebbero che si andasse al sodo. Troppa trama.
Cocuzza (5) – La partita, già di suo, è emozionante come il libretto di istruzioni del frigorifero. Lui nel secondo tempo lascia la panchina ma Dio solo sa che fine possa aver fatto una volta entrato in campo. Anche per lui valgono le attenuanti di questo mondo, tutte quelle che si riescono ad immaginare e anche le altre. La panchina non gli fa bene e il suo sacrificio non sembra bilanciato da alcun beneficio tattico particolare.
A proposito, il fantasma di Quintoni (7) – Affolla la mente di quasi tutti i tifosi, a braccetto con quello di Parachì (stesso voto). A volte, parlare degli assenti è antipatico, ma è anche un modo elegante per soprassedere sul rendimento dei presenti , dopo tutto.
Costa Carta della Disperazione Ferreira (S.V.) - E’ un po’ ingenuo fare confusione tra casualità e soluzioni tattiche. Due cose abbastanza diverse. E il povero Pedro non può ustionarsi ogni volta le mani per tirare fuori dal fuoco le castagne roventi con la lavagna del recupero che compare quando non ha ancora avuto il tempo di toccare un pallone.
Catalano (5) – Ha sulla coscienza parte dei modesti voti fin qui snocciolati per i suoi ragazzi. Con un “roster” simile avrebbe l’imbarazzo della scelta nel far ruotare i giocatori, ma alla fine oggi il suo Messina ha fatto roteare ben altro, sugli spalti, scalfendo le certezze di un’estate che non sai quando arriva e quando parte e soprattutto se riparte. Nell’harem di un organico da leccarsi i baffi e farseli leccare, con la cintura di castità a rovinare la festa e il timer giunto quasi a fine corsa, deve inventarsi qualcosa prima che anche il pollo bruci del tutto. Qualcosa anche di normale, per mettere fine all’emorragia tattica che sta dissanguando giornata dopo giornata l’auto-stima dei giocatori e smontando il precoce ottimismo dei tifosi.
La piazza che rumoreggia (6) – L’urlo del San Filippo stavolta non fa tremare la vallata, d’accordo, ma di fronte ad uno spettacolo come quello visto in campo si addormenterebbe anche “La 12” della Bombonera. Alla fine qualche fischio isolato denuncia che la pazienza comincia a scarseggiare anche nelle cisterne più generose, che la classifica “abbastanza buona” non basta e ricorda a tutti che il contegno finnico non è di queste latitudini. Un segnale a fare qualcosa. Qualsiasi cosa, ma a farla senza perdere altro tempo.
Caldore (5,5) - Dalle sue parti ne succedono sempre di tutti i colori e sia noi che lui ne faremmo volentieri a meno. Lievi segnali di ripresa in fase di proposizione in avanti, piano piano, poco poco.
Di Stefano (6) – Osa spingere sulla sua fascia concedendo qualcosa in copertura. Volenteroso e con quel grammo di coraggio e personalità che potrebbe consentirgli di avere altre chances in futuro, imbecca anche Croce con uno dei migliori cross di giornata.
Ignoffo (6,5) – Se già l’anno scorso era stata una carognata affidare all’ottimo Coppola l’ingrato compito di avviare la manovra e pescare direttamente le punte con lanci millimetrici da 35 metri, speriamo che almeno quest’anno l’incombenza non tocchi addirittura ad uno che di mestiere gioca centrale di difesa. Nel suo habitat naturale padroneggia una partita ruvida con una sola sbavatura e i compagni di reparto lo cercano con insistenza al minimo accenno di pressing nemico. Ma dal centrocampo nessuno si abbassa ad andargli incontro, anche solo per chiedergli come sta e se ha bisogno di qualcosa.
Chiavaro (6) – Un paio di interventi d’autorità evitano che il pomeriggio di passione si trasformi in una passata di pomodoro acido. Anche lui costretto talvolta al lancio lungo in attesa che la squadra riesca ad oliare i famosi meccanismi sulla cui esistenza in tanti cominciano a nutrire seri dubbi, incappa solo in qualche errore senza conseguenze tragiche.
Maiorano (6) Vaga per il campo come un’anima in pena sullo Stige diretta verso la dannazione di uno zero a zero eterno. Un lavoro da cani senza neanche il piacere dei croccantini alla fine. Non fa mancare il suo consueto apporto nella fase d’attacco prima di calare, vistosamente, alla distanza.
Bucolo (5,5) - Giocare a mosca cieca con i compagni che giocano per di più a nascondino gli fa venire l’ulcera. Sulla sua testa i lanci lunghi sono più degli aerei su Malpensa nell’ora di punta e per giunta è costretto a reinventarsi cane da caccia per un avversario qualsiasi il cui nome non ha importanza. Catalano in preda ai sensi di colpa lo tira fuori dal campo in anticipo per evitare che gli saltino i nervi per lo stress di una partita così improvvisata da non avere modo di venirne a capo. Va bene, è uno sporco lavoro, ma a tutto c’è un limite.
Cicatiello (5,5) – Se manca l’ossigeno alla manovra e le idee estemporanee la fanno da padrone, i più giovani pagano un dazio salato ed inevitabile. In un centrocampo deserto di risorse amiche, gli avversari gli passano vicino con la loro sobria manovra a tinta unita. Chi siete? Sì, ma quanti siete? Un fiorino.
Croce (5) – Il Paternò schiera al centro della difesa un armadio a muro e una parete attrezzata. Per lui un triste pomeriggio di mani in faccia, ginocchiate nella schiena, paroline dolci sussurrate nelle orecchie senza che l’arbitro reggino si accorga di nulla e soprattutto senza il minimo costrutto. Sacrifica al Dio della sponda a tutti i costi un paio di occasioni dove era lecito attendersi che il pallone fosse scagliato verso la porta avversaria, senza cerimoniali superflui. Al suo attivo due delle pochissime palle gol del Messina, con la traversa che gli dice di no e la guardalinee che lo ferma mentre sta per sbagliare di nuovo. Ha conosciuto giornate migliori.
Leon (5,5) – Due o tre impressionanti arzigogoli in accelerazione che avrebbero meritato miglior sorte e compagni più presenti a se stessi. Ma è troppo poco e a causa della desolante manovra del secondo tempo dà l’idea di una micidiale mitragliatrice indegnamente caricata a gommini. Che spreco. Affonda con tutte le ciabatte in un pomeriggio dove la cifra tattica della squadra pareggia lo zero del tabellino marcatori.
Corona (5) – In serie D, passare da idolo trascinatore a sequoia secolare è un attimo, se la squadra è slegata e ognuno si fa i fatti suoi. E l’umore, di fronte alle palle giocabili che non ci sono lo avvicina, complice anche il look, ad un salice piangente. Insieme con i compagni di reparto si attarda per ore in estenuanti preliminari, quando anche i tifosi più romantici vorrebbero che si andasse al sodo. Troppa trama.
Cocuzza (5) – La partita, già di suo, è emozionante come il libretto di istruzioni del frigorifero. Lui nel secondo tempo lascia la panchina ma Dio solo sa che fine possa aver fatto una volta entrato in campo. Anche per lui valgono le attenuanti di questo mondo, tutte quelle che si riescono ad immaginare e anche le altre. La panchina non gli fa bene e il suo sacrificio non sembra bilanciato da alcun beneficio tattico particolare.
A proposito, il fantasma di Quintoni (7) – Affolla la mente di quasi tutti i tifosi, a braccetto con quello di Parachì (stesso voto). A volte, parlare degli assenti è antipatico, ma è anche un modo elegante per soprassedere sul rendimento dei presenti , dopo tutto.
Costa Carta della Disperazione Ferreira (S.V.) - E’ un po’ ingenuo fare confusione tra casualità e soluzioni tattiche. Due cose abbastanza diverse. E il povero Pedro non può ustionarsi ogni volta le mani per tirare fuori dal fuoco le castagne roventi con la lavagna del recupero che compare quando non ha ancora avuto il tempo di toccare un pallone.
Catalano (5) – Ha sulla coscienza parte dei modesti voti fin qui snocciolati per i suoi ragazzi. Con un “roster” simile avrebbe l’imbarazzo della scelta nel far ruotare i giocatori, ma alla fine oggi il suo Messina ha fatto roteare ben altro, sugli spalti, scalfendo le certezze di un’estate che non sai quando arriva e quando parte e soprattutto se riparte. Nell’harem di un organico da leccarsi i baffi e farseli leccare, con la cintura di castità a rovinare la festa e il timer giunto quasi a fine corsa, deve inventarsi qualcosa prima che anche il pollo bruci del tutto. Qualcosa anche di normale, per mettere fine all’emorragia tattica che sta dissanguando giornata dopo giornata l’auto-stima dei giocatori e smontando il precoce ottimismo dei tifosi.
La piazza che rumoreggia (6) – L’urlo del San Filippo stavolta non fa tremare la vallata, d’accordo, ma di fronte ad uno spettacolo come quello visto in campo si addormenterebbe anche “La 12” della Bombonera. Alla fine qualche fischio isolato denuncia che la pazienza comincia a scarseggiare anche nelle cisterne più generose, che la classifica “abbastanza buona” non basta e ricorda a tutti che il contegno finnico non è di queste latitudini. Un segnale a fare qualcosa. Qualsiasi cosa, ma a farla senza perdere altro tempo.
2 Commenti
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zefiro
15 ottobre 2012 - 08:40
Capo cosparso di cenere. Mi scialo sempre e non c'entra il risultato: è un puro piacere letterario che ho gustato anche nelle pagelle del derby.


peppezancle
15 ottobre 2012 - 14:59
"scalfendo le certezze di un’estate che non sai quando arriva e quando parte e soprattutto se riparte"
ciccio idolo!
ciccio idolo!

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